L’analisi dell’art. 1130 bis Cc: il rendiconto, il revisore e il consiglio di condominio.

Del rendiconto condominiale si occupano, tra gli altri, due articoli del codice civile, il 1130 e il 1130 bis, il primo modificato dalla legge di riforma del condominio (L. 220/2012), il secondo inserito ex novo con la predetta riforma.

Dai richiamati riferimenti normativi si ricava innanzitutto la circostanza per cui, alla redazione materiale del rendiconto annuale provvede l’amministratore, il quale è tenuto anche a convocare l’assemblea per la sua approvazione entro centottanta giorni (art. 1130, n. 10 Cc).

Che l’approvazione del rendiconto annuale sia una prerogativa esclusiva dell’assemblea condominiale, lo ricorda pure l’art. 1135 Cc il quale, tra le attribuzioni della stessa, annovera infatti l’anzidetta approvazione del rendiconto nonché la decisione riguardante l’eventuale impiego del residuo attivo della gestione.

Per comprendere cos’è il rendiconto condominiale e da cosa è composto occorre fare riferimento al successivo art. 1130 bis Cc norma, come detto, inserito dalla legge L. 11 dicembre 2012, n. 220.

In sede di prima stesura della proposta di legge, allorquando ancora non si era concretizzata la possibilità di inserire il nuovo art. 1130 bis Cc, con l’art. 9 era stato contemplato uno specifico comma (l’ultimo), da inserire nel contesto dell’art. 1130 che recitava <<il rendiconto condominiale è redatto secondo il criterio di cassa e competenza in forma chiara e idonea a consentire una verifica delle voci di entrata e di uscita e della situazione patrimoniale del condominio nonché dei fondi e delle riserve previste. Il rendiconto annuale è accompagnato da una relazione esplicativa della gestione con l’indicazione anche degli eventuali problemi risolti e da risolvere nel condominio. I condomini e i titolari di diritti di godimento sulle unità immobiliari possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo e estrarne copia a proprie spese. Le scritture e i documenti giustificativi devono essere conservati per dieci anni dalla data della relativa registrazione. L’assemblea può anche nominare, oltre all’amministratore, un consiglio di condominio composto da almeno tre condomini negli edifici di oltre nove unità immobiliari. Il consiglio ha funzioni consultive e di controllo>>.

Nel prosieguo, in sede di discussione, il comma veniva ridisegnato nel modo sopra visto (<<redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni>>) e, conseguentemente, si decideva di introdurre il nuovo art. 1130 bis Cc.

Nel primo periodo del predetto articolo viene stabilito che <<il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve, che devono essere espressi in modo da consentire l’immediata verifica>>.

In altri termini, si arguisce come il rendiconto cristallizza la consistenza finanziaria del condominio in quel dato momento, con l’indicazione delle voci attive, formate per la stragrande maggioranza dei contributi versati dai condòmini o da altre poste positive, si pensi all’affitto di un locale di proprietà comune, le spese incombenti annualmente sullo stesso e, in generale, la complessiva situazione economica, anche riguardo all’esistenza di eventuali fondi accantonati (ad esempio, il fondo per lavori straordinari) o altre riserve di cassa.

Questi dati dovranno essere immediatamente intellegibili e, pertanto, il rendiconto deve essere redatto nella maniera più intuitiva e lineare possibile.

Ciò è emerso chiaramente fin dai lavori preparatori al progetto di legge di riforma del condominio e, in particolare, dal dossier (GI0507) predisposto dal Servizio Studi del Dipartimento Giustizia, laddove, è dato leggere come la nuova disposizione (l’art. 1130 bis Cc, aggiunto dall’art. 11 della L. 220/2012) <<mira ad assicurare maggiore trasparenza nella gestione contabile dell’amministratore>>.

Nel dossier, a tal proposito, viene esplicitamente richiamato il principio stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 1405, del 23 gennaio 2007, per cui <<per la validità della delibera di approvazione del bilancio preventivo non è necessario che la relativa contabilità sia tenuta dall’amministratore con rigorose forme analoghe a quelle previste per i bilanci delle società, essendo invece sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione; nè si richiede che queste voci siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell’organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all’approvazione stessa, prestando fede ai dati forniti dall’amministratore alla stregua della documentazione giustificativa>>.

Continua la norma spiegando da cosa è composto il rendiconto, vale a dire, un registro di contabilità, un riepilogo finanziario, nonché una nota sintetica esplicativa della gestione con l’indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti.

Dal che si manifesta come il rendiconto sia un atto complesso, suddiviso in più sezioni, tre per la precisione, ognuna con determinate obiettivi.

Detti elementi, ritenuti <<imprescindibili>> dal suddetto dossier, sono quelli comunemente rinvenibili in una normale azienda, come appunto: a) il libro contabile, dove vengono annotati i conti del condominio, una sorta di giornale di cassa contenente la cronologia degli incassi e degli esborsi da inserire entro 30 giorni (art. 1130, n. 7 Cc) <<nel registro di contabilità sono annotati in ordine cronologico, entro trenta giorni da quello dell’effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita. Tale registro può tenersi anche con modalità informatizzate>>, modellato sulla scorta del libro giornale di cui all’art. 2216 Cc (<<Il libro giornale deve indicare giorno per giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa>>); b) il riepilogo finanziario, ossia la sintesi delle poste attive e passive e, pertanto, i crediti e i debiti verso i condòmini e i terzi, in buona sostanza, lo stato patrimoniale del condominio; c) la nota sintetica esplicativa, ovvero una relazione dell’intera gestione contenente, tra l’altro, i contratti in corso e le eventuali controversie pendenti.

Come dicevamo in precedenza, la ratio sottesa a tali radicali riforme, risiede nell’esigenza di maggiore trasparenza nella gestione contabile dell’amministratore condominiale, bisogno sempre più avvertito dai milioni di condòmini presenti in Italia dove, lo ricordiamo, la stragrande maggioranza delle abitazioni esistenti è, appunto, costituita in condominio, con tutte le conseguenze che ne derivano, anche in termini di movimentazione di denaro.

Per dare risposta a tali istanze il legislatore, come detto, oltre a fondare ex novo il menzionato art.1130 bis Cc, ha disposto tutta una serie di “obblighi e controlli” a carico dell’amministratore, al fine di rendere la gestione più limpida possibile.

Ci riferiamo in particolare alla possibilità di nominare un revisore dei conti, all’obbligo di conservare in documenti contabili e i documenti di cassa per un decennio, oltre che alla possibilità per l’assemblea di nominare un consiglio di condominio composto da almeno tre condomini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari, con funzioni consultive e di controllo (art. 1130 bis Cc).

Accanto agli anzidetti vincoli il legislatore ne ha previsto di ulteriori, anch’essi molto stringenti che, in caso di violazione, possono portare fino alla revoca, in alcuni casi quasi automatica, dell’amministratore.

Si allude alle disposizioni previste dai novellati artt. 1129 e 1130 Cc i quali, tra l’altro, prevedono, a carico dell’amministratore, all’atto della nomina e ad ogni rinnovo del mandato, la necessità di comunicare i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale o, se si tratta di società, anche la sede legale e la denominazione, il locale ove si trovano i registri di cui ai numeri 6) e 7) dell’articolo 1130 (<<registro di anagrafe condominiale; registro dei verbali delle assemblee; registro di nomina e revoca dell’amministratore; registro di contabilità>>), per i quali, pertanto, vige l’obbligo di regolare istituzione.

E’ stato altresì sancito l’obbligo, già previsto in precedenza dalla giurisprudenza, di far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condòmini o da terzi, nonché quelle erogate, su di uno specifico conto corrente intestato al condominio, del quale i condòmini possono in qualsiasi momento prendere visione ed estrarre copia.

L’amministratore, inoltre, alla cessazione del proprio incarico deve consegnare tutta la documentazione di pertinenza del condominio, o dei condòmini, al suo successore, ed è tenuto, salvo diversa disposizione assembleare, ad agire giudizialmente per il recupero delle somme dovute a titolo di quote condominiali, entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito è compreso, con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo.

Sono stati altresì disciplinati in casi in cui si può giungere alla revoca giudiziale dell’amministratore, anche su ricorso di un solo condomino, legati essenzialmente a violazioni di carattere fiscale e ad irregolarità contabili della gestione.

Il riferimento è alle ipotesi di omessa comunicazione all’assemblea di atti giudiziari o provvedimenti con contenuto esorbitante dalle attribuzioni dell’amministratore (art. 1131 Cc), sostanzialmente, tutto ciò che non attiene alla parti comuni dell’edificio, alla mancata redazione del rendiconto annuale e alle cd. gravi irregolarità. In tali casi, la revoca risulterà quasi automatica, essendo ciascun condomino legittimato a rivolgersi direttamente all’autorità giudiziaria.

La revoca può essere anche disposta nel caso di gravi irregolarità fiscali o in caso di mancata apertura del conto corrente condominiale, a tal proposito, tuttavia, il condomino deve preventivamente chiedere la convocazione dell’assemblea per la cessazione delle suddette violazioni e la revoca dell’incarico all’amministratore inadempiente e, solo in caso di mancata revoca assembleare, può rivolgersi all’autorità giudiziaria. Così statuendo il legislatore parrebbe abbia voluto introdurre per siffatte ipotesi una sorta di condizione di procedibilità per la revoca giudiziale, a cui conseguirà anche il ristoro delle spese legali sostenute, da porre a carico del condominio, con successivo possibile diritto di rivalsa di quest’ultimo in danno dell’amministratore revocato.

Ulteriori <<gravi irregolarità>> che legittimano la revoca dell’amministratore, a titolo che rimane esemplificativo, sono rappresentate: dall’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale; dal reiterato rifiuto di convocare l’assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore; dall’omessa esecuzione di provvedimenti giudiziari, amministrativi e delle deliberazioni dell’assemblea; dalla mancata utilizzazione del conto corrente condominiale; dalla gestione immobiliare con caratteristiche che possono creare confusione tra il patrimonio del condominio e quello personale dell’amministratore o con quello di altri condomìni; dal permettere, nonostante il credito condominiale, la cancellazione delle iscrizioni nei registri immobiliari; dall’omettere di curare le azione giudiziarie e le esecuzioni coattive in danno dei debitori del condominio; dalla mancata istituzione dei registri di anagrafe condominiale, dei verbali delle assemblee, di nomina e revoca dell’amministratore e di quello contabile, oltre che dalla negata informazione ai condòmini richiedenti in merito allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle liti in corso; dalla sottaciuta, parziale o errata comunicazione dei propri dati anagrafici e professionali, del codice fiscale, o, se si tratta di società, anche dalla mancata indicazione della sede legale e della denominazione, e del locale ove si trovano i registri predetti.

A conclusione dell’esame del rendiconto condominiale, e delle possibili conseguenze che possono derivare dall’omessa predisposizione ovvero da tutta una serie di irregolarità contabili comunque connesse allo stesso, esaminiamo altri due aspetti, quello del periodo di riferimento e del criterio da seguire per la sua redazione.

Ad oggi si ha notizia dell’insana abitudine, invalsa presso alcuni amministratori poco accorti, di redigere un bilancio <<pluriennale>>, probabilmente nell’intento – errato – di legare il periodo di vigenza dello stesso, alla presunta durata del suo mandato.

Nulla di più sbagliato. Premesso che l’amministratore, anche dopo la riforma del condominio, senza dubbio dura in carica sempre un anno – con possibilità di rinnovo per il secondo, al termine del quale ha l’obbligo di convocare l’assemblea per la nomina del nuovo amministratore, che può essere il medesimo, obbligo che invece non sussiste al termine della prima annualità, fatta salva l’esplicita richiesta dei condòmini – anche il bilancio ovviamente ha sempre e solo durata annuale.

In tal senso depone il chiaro dettato legislativo, in particolare, gli artt. 1130, n. 10) e 1135, n. 3) Cc, i quali parlano espressamente di <<rendiconto condominiale annuale>>.

Pertanto, il rendiconto deve necessariamente coincidere con l’anno legale, vale a dire con riguardo al periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre di ogni anno.

Conseguentemente, la delibera di approvazione di un bilancio pluriennale, risulterebbe irrimediabilmente nulla e, pertanto, impugnabile anche oltre il termine di cui all’art. 1137 Cc (30 giorni dalla deliberazione ovvero dalla comunicazione per gli assenti), con l’unico limite della prescrizione ordinaria decennale (art. 2946 Cc), con tutte le conseguenze in ordine alla effettiva possibilità di riscuotere le quote condominiali.

Infine, occorre chiedersi a quale criterio deve essere improntata la redazione del rendiconto, se al criterio di cassa, vale a dire tenendo conto del giorno dell’effettiva entrata o uscita delle somme oppure al criterio di competenza, tenendo conto quindi del periodo in cu i ricavi e costi giungono al perfezionamento, a prescindere all’effettivo incasso o spesa.

Diciamo subito che, in fase di lavori preparatori, dalla formulazione dell’originaria e abbandonata ipotesi di redazione della norma che, inserita nell’ultimo comma dell’art. 1129 Cc, recitava: <<il rendiconto condominiale è redatto secondo il criterio di cassa e competenza in forma chiara e idonea …>>, emergeva la volontà del legislatore di utilizzare un sistema misto di cassa e competenza.

Successivamente, già dal dossier accompagnatorio (GI0507) alla proposta di legge, redatto dal Servizio Studio del Dipartimento di Giustizia, il legislatore sembrava invece aver decisamente optato per un criterio esclusivamente di competenza.

Tuttavia, nelle more della discussione parlamentare, dopo il già riferito abbandono del criterio di cassa, con l’emendamento n. 11.500, del seguente tenore: <<al comma 1, capoverso <<Art. 1130 bis>>, primo comma, primo periodo, sostituire le parole: il rendiconto condominiale è redatto con criteri di competenza; con le seguenti: il rendiconto condominiale contiene.>>, approvato dai due rami del parlamento, è stato definitivamente abbandonato anche il riferimento al solo criterio di competenza.

Pertanto, nel vigente dettato legislativo non vi è più alcun richiamo all’utilizzo dell’uno o dell’altro criterio nella predisposizione del rendiconto.

La scelta legislativa apparirebbe ora orientata più a criteri di <<sostanza>> che di <<forma>>, in altri parole, il legislatore sembrerebbe aver preferito un criterio di evidente trasparenza, semplicità e chiarezza nella redazione del rendiconto, piuttosto che un approccio accademico all’utilizzo di un metodo piuttosto che un altro.

Diamo atto, tuttavia, del contrasto dottrinario esistente sul punto, non dimenticando come la giurisprudenza è, invece, più orientata all’utilizzo del criterio di cassa ai fini della redazione del rendiconto.

A tal proposito, infatti, non si può non ricordare come la Corte di Cassazione, intervenuta sul punto prima della riforma, ha chiaramente affermato come <<il rendiconto è soggetto al principio di cassa>> (Cass. 10153/2011. Cfr. anche: Cass. 15401/2014).

Alla luce del complessivo riordino della materia condominiale, come detto ampiamente improntata alla necessità di una gestione condominiale lineare e intuitiva e, in ogni caso, alla durata annuale del mandato ad amministrare, per parafrasare la medesima Corte di Cassazione, la questione deve essere rapporta alla competenza annuale

Ed invero, <<poiché l’amministratore è tenuto anno per anno a predisporre il bilancio preventivo ed a far approvare dall’assemblea il bilancio consuntivo, astrattamente, anno per anno, alla scadenza dell’anno sociale corrispondente alla durata in carica, egli deve rispondere della gestione. Ragion per cui la gestione viene rapportata alla competenza (annuale)>> (Cass. 10815/2000).

Pertanto, il criterio univoco con il quale dovrebbe essere redatto il rendiconto condominiale annuale – che non è un bilancio societario – sarebbe quello della <<accessibilità>> atteso che, ogni condomino, a conclusione della annualità, deve poter immediatamente comprendere cosa il condominio ha incassato e quanto ha speso nel relativo esercizio e se lo stesso ha, complessivamente, un attivo di cassa ovvero versa in condizioni deficitarie.

Andando avanti nell’analisi dell’art. 1130 bis Cc, vediamo come lo stesso dà vita alla particolare figura del revisore dei conti condominiali, laddove è dato leggere come <<l’assemblea condominiale può, in qualsiasi momento o per più annualità specificamente identificate, nominare un revisore che verifichi la contabilità del condominio. La deliberazione è assunta con la maggioranza prevista per la nomina dell’amministratore e la relativa spesa è ripartita fra tutti i condomini sulla base dei millesimi di proprietà>>.

Premesso che la nomina del revisore da parte dell’assemblea rimane una mera facoltà, l’uso del <<può>> non lascia margine di dubbio, se per la figura dell’amministratore il legislatore ha previsto determinati requisiti di istruzione, moralità e professionalità, nulla ha disposto in merito alla nuova figura del revisore condominiale, il che lascia presuppore come chiunque possa ricoprire l’anzidetto incarico.

Il buon senso, comunque, consiglierebbe di rivolgersi ad esperti del settore (a titolo di esempio, commercialisti, avvocati, ragionieri, ecc.), ciò anche al fine di poter dare una parvenza di attendibilità alla consulenza di revisione e, conseguentemente, utilizzarla anche in sede giudiziaria.

La nomina del revisore, per esplicita previsione, può avvenire in qualsiasi momento e a cura dell’assemblea, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio (art. 1136, II e III co. Cc), vale a dire con le medesime maggioranze richieste per la nomina dell’amministratore, e del relativo compenso se ne dovranno fare carico tutti i condòmini, in ragione dei rispettivi millesimi di proprietà.

Nulla sembra ostare alla possibilità di nomina del revisore anche per volere di un solo condomino, considerata la possibilità, prevista dal medesimo art. 1130 bis Cc, per i condomini di prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie spese, nel qual caso però, le relative spese rimarrebbero ad integrale carico del condomino richiedente, fatta salva la possibilità, una volta verificata l’effettiva erroneità della contabilità condominiale, di rivalersi sul condominio e questi, conseguentemente, sullo stesso amministratore.

Per procedere alla revisione, al tecnico incaricato deve essere consentito l’accesso a tutta la documentazione condominiale, in particolare, al rendiconto, alla documentazione di cassa giustificativa e al conto corrente condominiale, relativa al periodo oggetto di revisione.

Qualora il condominio si trovasse momentaneamente senza amministratore, perché revocato ovvero dimesso, nondimeno, detta documentazione e, in particolare, l’accesso al conto corrente condominiale, anche diretto, presso l’istituto di credito nel quale è stato acceso, dovrebbe essere consentito dal precedente amministratore che, come è noto, rimane in carica in regime di prorogatio fino alla nomina del nuovo amministratore.

In mancanza, si ritiene senz’altro esperibile il ricorso all’autorità giudiziaria, con ricorso anche d’urgenza (ex art. 700 Cpc) al Tribunale competente per territorio, al fine di ottenere un ordine di esibizione a carico del precedente amministratore ovvero nei confronti dell’istituto di credito, presso il quale è intrattenuto il rapporto di conto corrente.

La revisione, continua il dato normativo, è consentita per più annualità e, pertanto, può investire più rendiconti.

Il che sta a significare come l’assemblea può richiedere la revisione non solo dell’annualità in corso, l’espressione <<in qualsiasi momento>> depone in tal senso, ma anche per quella appena passata e, addirittura, di quelle precedenti.

A tal proposito la possibilità appena descritta, quella di una revisione pluriennale, impone una serie di interrogativi: Qualora dovessero ravvisarsi delle irregolarità nelle precedenti annualità cosa succede? Come comportarsi nel caso, che sicuramente si prospetterebbe, di regolare approvazione del bilancio “incriminato” da parte dell’assemblea? Cosa fare nell’altrettanto sicura evenienza del decorso del termine di trenta giorni per l’impugnazione della delibera di approvazione del rendiconto errato?

Per dare una risposta compiuta alle problematiche che certamente emergerebbero in caso di irregolarità del rendiconto, occorre premettere che gli eventuali vizi da cui possono essere affette le deliberazioni assembleari, possono portare a delle ipotesi di annullabilità della delibera ovvero, per i vizi più gravi, a quelle di nullità della stessa.

Ai sensi del novellato art. 1137 Cc, <<contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti>>.

Tuttavia, per come già da tempo chiarito dalla giurisprudenza, il termine dei 30 giorni deve essere osservato solo per le delibere annullabili e non per quelle nulle che, al contrario, si possono impugnare nell’ordinario termine di prescrizione di 10 anni.

Ciò posto, la giurisprudenza ha delineato quali sono i vizi che comportano la nullità e quelli, meno gravi, che invece presupporrebbero la mera annullabilità della delibera e che, quindi, risulterebbero sanati in caso di mancata impugnazione della stessa nei successivi 30 giorni.

Partendo dall’ormai storica sentenza della Suprema Corte, la numero 6623, del 5 aprile 2004, è stato statuito come <<le delibere condominiali, analogamente a quelle societarie, sono nulle solo se hanno un oggetto impossibile o illecito, ovvero che non rientra nella competenza dell’assemblea o se incidono su diritti individuali inviolabili per legge. Sono, invece, annullabili, le altre delibere, contrarie alla legge o al regolamento di condominio, tra cui quelle che non rispettano le norme che disciplinano il procedimento o che richiedono maggioranze qualificate per formare la volontà dell’organo collegiale in relazione all’oggetto delle delibere da approvare>>, sulla stessa scia si è attestata la successiva giurisprudenza di legittimità, nonché quella di merito, specificando che <<in tema di condominio negli edifici, debbono qualificarsi nulle le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto>> (Cass. 12930/2012. Nello stesso senso: Trib. Milano, 26/02/2016; Trib. Bari, 26/01/2016; Trib. Prato, 04/07/2015; Trib. Massa, 30/06/2015; Trib. Torino, 01/04/2014; Trib. Salerno Sez. I, 24/06/2013; Trib. Padova Sez. I, 08/02/2013; Trib. Palermo Sez. II, 09/10/2012).

Ciò posto, a ben vedere, l’errore contabile ovvero la non corretta formazione del rendiconto tale da legittimare la revisione, non risulterebbe sussumibile in nessuna delle fattispecie di nullità delineate dalla giurisprudenza.

Tuttavia, qualora si dovesse ritenere che il rendiconto, successivamente inficiato dalla revisione, fosse affetto da un mero vizio annullabile, la delibera di approvazione dello stesso -, specie se risalente nel tempo – risulterebbe sanata per il decorso del termine di decadenza di 30 giorni di cui all’art. 1137 Cc. e, pertanto, la revisione non potrebbe compiutamente esplicare i suoi effetti se non quello, eventuale, di chiamare in causa per responsabilità diretta e personale l’amministratore dell’epoca, evenienza che, comunque, presupporrebbe necessariamente il dolo o, quanto meno, la colpa grave dello stesso, al fine di ritenere fondata l’azione giudiziale.

Ciò posto, l’interpretazione più corretta da dare al nuovo art. 1130 bis Cc, allorquando riferisce della possibilità di <<revisione pluriennale>>, parrebbe quella per cui il legislatore ha inteso codificare, anche se non lo ha esplicitamente previsto, l’ulteriore vizio comportante la nullità della delibera di approvazione del rendiconto errato.

Solo in tal caso l’istituto della revisione condominiale risulterebbe pienamente espresso nei suoi caratteri pregnanti e la ratio dello stesso, quella di <<controllo e verifica>> dell’operato dell’amministratore, troverebbe riscontro nella possibilità di declaratoria di nullità della delibera di approvazione del rendiconto, anche al di fuori dei termini di decadenza sopra visti, e con l’unico limite della prescrizione decennale.

Peraltro, una tale interpretazione si accorderebbe alla perfezione, anche temporalmente, con l’ulteriore prescrizione prevista dall’art. 1130 bis Cc, per cui <<le scritture e i documenti giustificativi devono essere conservati per dieci anni dalla data della relativa registrazione>> che, appunto, è il termine ultimo entro il quale poter impugnare le delibere nulle.

Ciò posto, sulla scorta di tutto quanto sopra evidenziato, posta la necessità di conservazione dei documenti di cassa per dieci anni, le delibere di approvazione dei rendiconti inficiati dalla revisione condominiale risulterebbero affette dal più grave vizio di nullità e, in quanto tali, impugnabili anche oltre i trenta giorni dalla loro approvazione, per i presenti e gli astenuti, o comunicazione per gli assenti, nell’ordinario termine di prescrizione.

Per concludere l’esame dell’art. 1130 bis Cc, è da notare come il medesimo articolo, sempre in un’ottica di ausilio all’amministratore, oltre che di controllo e verifica della gestione dello stesso, prevede la possibilità per l’assemblea di nominare un <<consiglio di condominio>>, formato da almeno tre condomini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari, a cui sono affidate funzioni <<consultive e di controllo>>.

La facoltà di nomina di tale organo rimane esclusa per i piccoli complessi condominiali, siccome ammessa solo per quelli con più di dodici condòmini.

Il consiglio di condominio, nella sua generica previsione, risulterebbe sovrapporsi alla cd. commissione di condòmini, organismo la cui creazione era già stata ritenuta possibile in precedenza.

A tal proposito, infatti, in virtù dell’autonomia decisionale dell’assemblea dei condòmini, era stato ritenuto che, tendenzialmente, la nomina da parte dell’assemblea di una commissione ristretta di condòmini doveva ritenersi senz’altro legittima, in considerazione del fatto che ben può l’assemblea esprimere la volontà collettiva dei partecipanti mediante qualsiasi tipo di provvedimento, seppur non previsto dalla legge o dal regolamento di condominio, purché non volto a perseguire una finalità extracondominiale (Cass. n. 10865/2016).

L’unico limite incontrato dalle anzidette commissioni dei condòmini era, ed è, quello della finalità condominiale (Cass. n. 5130/2007; Cass. n. 4437/85), in altri termini, le materie demandate alla commissione non possono risultare estranee a vicende e fatti riguardanti il condominio.

Alla stessa stregua dell’attuale istituzionalizzato <<consiglio di condominio>>, le cui competenze risulterebbero essere state limitate <<al controllo e alla verifica della gestione>>, le funzioni della commissione rimangono esclusivamente consultive e non certo decisorie, spettando sempre all’assemblea il compito di approvare, con le maggioranze prescritte per le relative deliberazioni, la proposta della commissione o del consiglio, ovvero di ratificare successivamente il loro operato.

Pertanto, allo stato, nei condomìni con più di dodici partecipanti, sembrerebbero coesistere entrambi gli organi il <<consiglio di condominio>>, con funzioni esclusivamente “contabili”, e le <<commissioni di condòmini>>, con ulteriori compiti, comunque sempre attinenti alla vita condominiale, anche contabili, ma ciò solo ed esclusivamente nei condomìni con meno di dodici partecipanti.

Nel silenzio della legge – anche per questioni di “geografia legislativa”, considerato che gli autori del nuovo art. 1130 bis Cc, inseriscono la possibilità di nomina da parte dell’assemblea <<oltre che dell’amministratore>> anche di <<un consiglio di condominio>> – si ritiene che tale nomina sia possibile solo con le maggioranze previste proprio per la nomina dell’amministratore, vale a dire con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio (art. 1136, II e III co. Cc).

Per esplicita previsione normativa, come detto, il consiglio ha esclusivamente funzioni <<consultive e di controllo>>, pertanto, allo stesso è fatto divieto di assegnazione di funzioni decisionali in vece dell’assemblea, a cui spetta l’effettivo potere di scelta in merito all’operato/proposta del consiglio di condominio, in considerazione del fatto che l’organo assembleare è l’unico legittimato, ex art. 1135 c.c., ad adottare con apposita deliberazione provvedimenti che impegnano contrattualmente il condominio.

Avv. Paolo Accoti

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